Se un moderno Plutarco volesse cimentarsi in una impresa analoga a quella del suo Antico Predecessore, nella sue "Nuove Vite Parallele" non potrebbe esimersi dall'annoverarvi le narrazioni delle esistenze e dei destini di Miguel Cervantes de Saavedra ( 1547 - 1616) e di William Shakespeare (1564 - 1616). Vite letteralmente parallele, destini differenti e simili. Differenti perché la picaresca avventura esistenziale dello Spagnolo e quella imprenditoriale dell'Inglese, fatto salvo per qualche momento critico di una esistenza borghese con i suoi drammi familiari e la compromettente amicizia con il Conte di Southampton nonché le pestilenze londinesi, non si somigliano quasi in nulla; simili perché entrambi scrittori e drammaturghi hanno creato l'Uomo Moderno come traghettatore dell'Antica verità di ciò che l'Umano è. Di entrambi si potrebbe dire semplicemente che nacquero, vissero, lavorarono e morirono. Come un qualunque Ognuno che ognuno è. Tuttavia, se immaginassimo, come fossimo una novella Nausicaa, di trovare questi due uomini sulla spiaggia della nostra isola, cioè del nostro mondo, naufraghi, smemorati e vestiti solo di sabbia e salsedine, li conducessimo presso i nostri familiari, e avessimo un aedo che ne narrasse le imprese e loro piangendo come Odisseo, cominciassero a ricordare e a raccontarci di se stessi e dei loro mondi, delle loro imprese e delle loro invenzioni, allora avremmo di che gioire dell'aver incontrato sul nostro cammino questi uomini che, come Odisseo, hanno liberato l'immaginazione e mostrato Chi è l'Uomo agli uomini. E forse più delle loro biografie sarebbe affascinante sapere come mossero la loro immaginazione per stendere le loro opere, scrivere, raccontare storie, rappresentare sul palco di un teatro il Gran Teatro del Mondo. La Sapienza del Narratore consiste nella visione di ciò che che il narrato non può vedere, come ha ben spiegato Adriana Cavarero. "Tu che mi guardi, tu che mi racconti". Questa la verità del raccontare. Se Don Chisciotte o Re Lear non sono mai esistiti è perché continuassero ad "essere" per il Divenire di un essere uomo dell'uomo che Si narra nella sua Azione, nel suo essere-al-mondo. Alla scoperta di CHI è che agisce, che solo l'altro può vedere, quell'altro da sé che nell'individuo è l'Io Superiore e nell'esistenza condivisa è l'altro, l'altro che vedi e racconti, l'altro che vede e ti racconta. Il Cantico dei Cantici biblico, ad esempio, perfetto esempio, è la narrazione di questo quadruplice rapporto, l'io che è eros di Sé e l'eros degli amanti che sono l'uno l'altro, l'uno nell'altro. E la libertà di questo cerchio della necessità consiste nella sapienza di essere la necessità della libertà dell'altro. Dalla fine del Cinquecento europeo nelle costellazioni di due nazioni nemiche, due autori che vissero sotto due sovrani, Elisabetta e Giacomo I e VI d'Inghilterra, Filippo II e Filippo III di Spagna, ci rincorrono dal futuro, più che dal passato i personaggi di un mondo che non esiste più, ma che viene a noi incontro nel nostro desiderio di andare oltre ciò che il nostro mondo vuol farci credere di essere e che noi non siamo. E il segreto di ciò che siamo - il segreto della nostra morte - come diceva Goliarda Sapienza - lo conosce solo chi può narrare, come l'aedo nella reggia di Alcinoo, le nostre avventure nel Tempo.