Su Severino. Piccolo commento alla Filosofia

05.04.2020

Questo è il mio primo scritto su Severino. Risale al 2010. L'ho mantenuto così com'è. Ogni errore è dovuto a chi scrive.

Il Pensiero, come indica l'incipit joyciano del Finnegans Wake - riverrum - è indeterminazione, e la superdeterminazione dell'identità dell'Intero, ne è lo sviluppo necessario. Ma il pensiero, allora, per questo, è precategoriale e per questo è inevitabile coglierlo nella sua verità: solo e solo se si identifica all'essere. Pensiero ed essere sono lo stesso. L'atto con il quale qualcosa si presenta alla coscienza e l'evento mediante il quale qualcosa accade, possiedono la stessa natura, la stessa origine. Il molteplice accade nello sfondo dell'unità, e la sua unificazione è originaria, strutturale, non il risultato di un processo del Volere. Riverrum..., dunque, come processo che si svolge come scansione del ritmo che lascia apparire tutte le cose e a tutte le cose consegna l'originaria verità della loro eternità. Ma la "prova" dell'eternità dell'essente non è scientifica, cioè non è epistemica. Essa è non soggetta all'epistemologia, ma scaturisce necessariamente dal tribunale dell'élenchos. E il suo pronunciamento dice che se l'essere è non può non essere, e non può non essere in nessun caso. Contraddire questa verità è contraddittorio, quindi non verità. Il principio di non contraddizione è ontologico, perciò il non-essere e il nulla semplicemente non esistono. Ovvero insistono nell'esistenza mentale che li pone, sono la struttura della persuasione, della fede, quindi del volere-che le cose, gli enti non siano che non-essere. Ora, come posti sono gli insiemi transfiniti cantoriani, così ogni oggetto del pensiero è essere transfinitamente inteso, cioè molteplicità infinita di variabili che sono e non possono non essere, in quell'oggetto, in quell'insieme transfinito di campi semantici che costituiscono la Cosa. Allora, la processualità eterna dell'essente, la cui natura è puramente metafisica e costituisce lo sfondo ontologico e trascendentale identificabile con la totalità di ciò che è, non solo è inattingibile nell'orizzonte epistemico che presume e vuole i fatti sensibili o mentali quali prove di oscillazioni dell'esistente tra l'essere e il niente, ma anche , se provata, può esserlo solo e soltanto entro il principium firmissimum di non contraddizione. Che cosa custodisce, veramente, la verità del destino, nel senso indicato in Emanuele Severino, se non che l'Intero, ovvero il Tutto, al di qua dell'apparire dell'essente, è la pienezza della manifestazione della totalità infinita di ciò che è, in quanto ogni essente si determina come la totalità del suo apparire - quindi compiuto come totalità del suo essente stato - insieme ad ogni costellazione di essenti, nella complessione infinita del Tutto? Qui, il Tutto non è l'insieme che è maggiore della somma delle sue parti, che non esisterebbe perché impossibile, ma la verità transfinita del suo insieme finito. Il Tutto, dunque, è la totalità di ciò che è in quanto ogni essente è il proprio apparire del suo essente stato, negandosi l' annientamento o l'annientabilità di qualunque fenomeno. Vale a dire che l'eterno consiste nello sviluppo infinito di ogni essente che è l'essere, per il quale l'essere è; l'essente è l'eterno darsi di quell'insieme potenza custodita da ogni insieme che è ogni essente. L'essente è la conservazione e il superamento della propria totalità ontologica, esso si costituisce come l'onto-logico discorrere del canto del Destino del Tutto, cioè del Fondamento-che-è, la Coscienza della Totalità infinitamente pronunciante la propria Sapienza, l'esser sé dell'essente - la Gloria della Gioia.Ora, la tesi, se tesi può porsi, è: l'intero è il luogo che compie le singolarità, e come tali queste esistono, perché esiste solo l' intero, il Tutto che è. Ne segue che il canto di ogni essente è la totalità, ciò per cui l'essente è tutto in tutto, de-vinamente. Ma il Tutto non è totem e non dicta, non è un dio o il dio isolato col privilegio dell'eternità; il Tutto non realizza altri che se stesso, il pieno essere dell'essere, essendo(sene) il necessario infinito climax dynamico.Che se ne discorra è re-lativamente producente, non essendovi possibile produzione. Tutto già è realizzato, ciò che ancora deve apparire naviga già nelle nebulose oniriche delle galassie, e comunque già oltrepassabile, è in effige giudicato fatto. L'ironia è che questa totalità è il Mistico del quale nulla può dirsi, ma che si dice, e dicendosi compie l'essente Uomo, il dio dimentico di sé, che soccomberà alla Volontà. Dio muore, perché idolo già da sempre , sugli altari, pietrificato nelle cose, nei cieli , sulle croci, infine nel pane e nel vino, o nella pietra nera. Morto nelle secrezioni della volontà di potenza dei suoi baccanti. Ma il Mistico dell'essente si dona, inesauribile eros senza rimedio contro la morte, perché eternità essa stessa e gioiosa coessenzialità con la vita.Lo spettacolo del Tutto è, per sé, luogo-da cui-si-guarda. Luogo che festeggia la propria contemplazione.Perciò, e questa è la seconda tesi, le Arti sono la scala che, una volta usata, deve gettarsi via. Liberazione lirica, significa liberare la vita e la morte alla Terra e all'eterno della Gioia. Il mio stesso poema consiste nella sua elisione, il suo luogo proprio è il silenzio. Così fine ultimo di ogni linguaggio è il silenzio, e il theatron, il luogo da cui si guarda, si rivela come il luogo ontologico privilegiato da cui guardare il reale, smascherato come non-verità. Da questo evento che spoglia l'essente della sua messinscena, necessariamente deriva l'evento originario che l'essente è, il suo essere eterno trascendentale. In questa luce, che è l'appropriante autentico, il rimedio della volontà alle sue stesse anamorfosi decade e si risolve nel Mistico del risveglio.Il rimedio dell'Arte è invito al suo oltrepassamento. Ogni forma del rimedio alla paura e all'angoscia del mortale gioca il proprio ruolo come mezzo di consolazione o di salvezza, ma il gioco, serissimo, del rimedio si elide necessariamente all'apparire della verità, che nega la contraddizione e l'oltrepassa. Dunque l'Immenso che attende la manifestazione dell'Intero, la Gloria della Gioia, superamento del mortale è il toglimento della contraddizione che vuole che l'essente sia niente, che esso coesista e consista di nulla.Il teatro del mondo mostra la contraddizione della persuasione che il mortale sia. Questo è il senso di ogni evento nel quale ogni accadere può meritare di illuminarsi della verità dell'oltrepassamento della morte, essendo l'evento, propriamente, ciò che risplende di senso. L'Arte è la forza del logos che ha il potere di dispiegare la sapienza del senso dell'essente nella sua totalità, del suo destino, proprio perché mette a nudo e smaschera il monstruum del nulla, la follia del mortale e li nega. Ma, si accennava, l'Arte si compie e oltrepassa, e ciò accade nella suprema Arte spirituale che l'essere stesso del Tutto compie in sé e nell'esserci dell'uomo, cosicché se la Tecnica/Arte del vivere e del volere realizza scopi, tali scopi consistono solo nel portare alla luce la verità che lega tutte le cose, gli enti, quella che Peirce chiamava l'Agapico. E la verità compie anche gli strumenti che servono a raggiungerla, li olrepassa, ché essa è l'incontenibile che è condizione di ogni contenuto.Essere la verità, questo è il fine ultimo del volere che si scopre compiuto allorché in essa si libera dalle catene del suo io empirico.La gnosi filosofica se scorre nella storicità ed in essa si compromette, dalla storicità stessa si libera, perché la Gioia appaia.Musil scrive ne L'uomo senza proprietà ( la traduzione corrente dice qualità per Eigenschaften, ma questa parola sta per diorismós del greco antico di Aristotele e indica il proprio, la proprietà di una identità ) che la verità non è un cristallo che si mette in tasca, ma un immenso liquido nel quale si casca dentro. L'Arte di cascarvi si chiama filosofia.

POSTILLA

.Questo pretende di essere un poema sulla conoscenza, niente di serio o accademico. L'ho scritto con la passione, e me ne scuso. Ma ho preferito la franchezza alla disciplina.

GIUSEPPE CARBONE.

Giuseppe Paolo Carbone - Filosofo.
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