Sulla Storia

05.04.2020

Nell'etimologia di Historia risuonano le radici di st-, scr- e ar-, celate in or-, le prime che designano il tracciare, lo scrivere e lo scriversi, le seconde la flessione, il piegare ad uno scopo, la volontà dell'ars, della téchne di tracciare un solco nella carne degli eventi per afferrarli, dominarli, controllarli, sopportarli, compierli. La historia recupera le tracce del passato facendone diegesi, narrazione, e la narrazione pretende di rintracciare il senso delle cose estendendo macroscopicamente il divenire e il farsi degli eventi alle strutture e relazioni che li tessono, che li causano, che li compiono. Il sogno della narrabilità contiene se stesso, riproduce se stesso, essendo la storia il contenitore di tutto quello che all'uomo, all'anthropos appartiene come abitatore del tempo, essendo il tempo e lo spazio il dominabile, il regno delle possibilità della storia, cioè ciò che la storia può far comprendere. Ancora, la storia è la tecnica mediante la quale l'uomo cerca di rintracciare se stesso di comprendere se stesso di conoscere se stesso nell'ordine macrocosmico e nella dimensione microcosmica. Lo spazio della storia inquadra in una mappa strutture e dinamiche che collegano dettagli apparentemente insignificanti o dati d'importanza inversamente proporzionale alla loro portata spaziotemporale, per illustrare il senso della potenza della presenza umana sulla Terra, ovvero, almeno un tempo il senso e il compiersi della volontà di dio come propellente di uno sviluppo spirituale e politico dell'umanità. L'evoluzione umana è dramma, ma il teodramma che si consuma all'interno dello spirito universale, teodramma che investe l'anima stessa del mondo, si consuma dall'eternità nella ancipite imperscrutabile natura di dio, l'abisso di relazione in cui l'essenza trinitaria dell'essere divino è il letto sul quale scorre il fiume del divenire della storia, fiume il cui compimento è l'oceano dell'essere del Salvatore. Ma lo spazio aperto da questa mitologia escatologica, immensa costruzione spirituale sostanziata da una politica dell'abitare il mondo come predicato della sostanza-identità Io/Dio, è entropica, perché l'ipertrofia romanzesca della storia della salvezza consuma gli eventi e li consegna necessariamente al nulla, come la dialettica hegeliana consegna l'ente al suo passaggio a servizio e funzione di una totalità già compiuta nell'Assoluto, ma sempre in attesa di una pienezza del tempo ancorché paolina, troppo magnificamente progressiva. Il sortilegio hegeliano per illuminare la storia si serve dello Spirito Assoluto, ma questa tecnica non spiega perché il nulla dell'ente sia possibile - radice questa di tutto l'errare del pensiero, errare dell'errore fondazionale che dice che quando l'ente è esso è, quando non è non è. Che l'ente sia è un fatto, ma che il suo essere sia suo invece no, quindi è già consegnato al nulla, nulla da cui proviene e nulla a cui deve tornare - nulla che è sempre in agguato a consumarne l'identità, a farne naufragare la verità, a distruggerlo, usarlo, squartarlo. Il divenire di greca concezione scrive il poema del nichilismo, e getta le basi del dio assassino e giudice della storia, il figlio del dio degli eserciti che guida il suo popolo, a sua volta fratello di sangue del teopatico soffio del profeta mediorientale discendente di Agar.
Vero è che la storia, come la filosofia si alzano in volo al tramonto, ma è anche vero che il loro romanzo, come il diario di Julius Roodman è il resoconto di visioni impossibili che appaiono reali. Sono scrittura, la scrittura che rimane dopo che i fatti si sono consumati e sono stati consegnati al nulla, facendo spuntare dal nulla gli effetti di presumibili cause che li spieghino dispiegandoli. Il potere intanto, e la governamentalità del suo dispiegamento edificano gerarchie di valori - quotati dalla finanza dello spirito della storia - perché dalla matassa imbrogliata della commedia umana possa intravedersi un percorso teleologicamente intelligibile, perché finalmente la Cosa appaia nella pienezza del suo perché. Ma la nevrosi narcisistico depressiva di questa inutile recherche, come la quest del Graal, è un binario morto, è la morte intesa come consegna al nulla in atto, è, nel suo in-sistere, una cosa che non esiste. È solamente il ritrovato del potere che scrive la sua biografia folle affatturando i naufraghi della civilizzazione. Assoggettando soggetti consenzienti e non, il potere si fa storia e facendosi storia si fa potere perpetuandosi, mantenendosi sulla sua base epistemica, cioè filosoficamente fondato sul suo essere la giustificazione di sé in quanto forza collante, potenza di coesione e aggregazione, volontà di determinare l'agire e la comunicazione, creando dal nulla uno stato di cose che si realizza nella tecnica del potere di raggiungere scopi mediante mezzi: il potere realizza se stesso esercitandosi in quanto potere e utilizzando ogni mezzo per mantenersi e perpetuarsi - compreso il potere stesso. Scorgere la contraddizione e la follia del potere significa rovesciare ogni senso possibile conferito alla storia e consegnarla all'errore come mostro multiforme. La storia è quindi la maschera della follia che in quanto significante del potere non solo ne mostra la contraddizione, ma ne smaschera il significato.
Dunque il potere in se stesso è una tecnica. Cioè un mezzo per raggiungere scopi. Uno degli scopi principali del potere è quello di concentrare la ricchezza e incrementarla sfruttando i mezzi a diposizione: ideologie, politica, finanza, l'apparato scientifico-tecnologico, le cosiddette risorse umane, la religione ecc. L'impersonalità con cui il potere vive vita propria gli conferisce una forza smisurata, ma questa forza vive grazie alla volontà che muove gli uomini a loro volta impegnati al raggiungimento degli scopi più diversi. Il potere quindi è mosso dagli uomini che nel loro inconscio desiderano di agire esercitando potere. Si illudono di essere potenti agendo, producendo, realizzando scopi, che a loro volta devono essere rinnovati una volta raggiunti, se vengono raggiunti. Ma la volontà che muove questa macchina è senza scopo se non quello di volere - è volontà di volontà, volontà di sé. Questa è la contraddizione e quindi la follia che muove e la volontà e il potere.
La storia ne è il risultato come scrittura e linguaggio che consacra nello spazio della narrazione il movimento della volontà. L'alienarsi dell'azione, come precipitato singolare, freccia direzionale, vettore di realizzazione, è follia perché alienazione dalla totalità della costellazione dell'essente - e ogni narrazione ne è il riflesso, disperato, disastroso, già fallimentare ed in caduta libera per via del suo stesso isolarsi nella assoluta maniacale intenzione di essere l'unico, il chiunque democraticamente eretto ad unicum, orginario e originale, come singolo illuso di rimediare allo strapotere dell'altrui volere con un proprio volere, che di quello partecipa inevitabilmente, che con quello si identifica, comunque. Allora la storia, che vuole il senso del collettivo farsi della commedia umana resta, ed è ciò che resta: eco falsaria, non-verità, eco del fracasso omicida del tempo, a cui tristi impotenti e idolatri abitatori, i mortali, si attaccano per dominare e giustificare l'assassinio e la morte che essi hanno suscitato.

Giuseppe Paolo Carbone - Filosofo.
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